Studio sulla fattoria dell'Antico Feudo di Aci Trezza

1. INTRODUZIONE

Dall’indagine storica e dall’analisi del territorio delle Aci, emerge con forza una cultura ed una tradizione legate al lavoro della terra, anche in prossimità delle località marinare, le cui testimonianze tangibili rischiano – col correre dei tempi - di andare perdute. La presenza di una tradizione agricola nella zona è ben rappresentata dalla costellazione di fattorie e dei mulini nelle terre di Aci e nello sforzo della gestione delle acque fluviali (che per oltre settecento anni giunge sino a noi), al fine di irrorare le colture presenti.

Saro Bella, nella sua trattazione “Acque, ruote e mulini nella Terra di Aci”[1] ben ci fa comprendere come l’attività produttiva principale nel corso dei secoli in questi luoghi sia mutata – sulla base delle diverse contingenze storiche, e delle necessità dei governanti – passando dalla gestione di maceratoi (per la coltura di lino e canapa), alla coltivazione di vitigni, agrumeti e uliveti, per finire (e questo lo abbiamo visto dalla storia recente) alla pesca ed oggi per lo più al turismo.

E’ proprio la fase storica legata alla coltura dei campi che risalta all’occhio del nostro interesse, e che ci racconta una parabola agricola confermata non solo dalla penna di diversi autori, ma anche dalla presenza concreta di prove, di evidenze storiche, di testimonianze culturali come – ad Aci Trezza – della fattoria dell’antico Feudo di Via Dietro Chiesa.

2. L’ATTIVITA PRODUTTIVA E COMMERCIALE AD ACITREZZA SOTTO I RIGGIO

Quando oggi si parla della località marinara di Aci Trezza, non si può che associare il nome di questo ridente paese all’immagine (del XX secolo) idealizzata della pesca, della cultura marinara e della tradizione barcaiola.

Ma il motivo per cui Aci Trezza ha sviluppato una attitudine al mare è ben noto che lo si deve all’allestimento degli attracchi portuali che furono realizzati da Don Stefano Riggio Saladino nel 1687 contestualmente alla realizzazione della prima Chiesa del paese dedicata a San Giuseppe (distrutta da un terremoto l’11 Gennaio 1693).

Il motivo per cui il Capitano di Palermo, Principe di Campofranco e Campofiorito, volle realizzare il molo, il “Carricatore” (allo stesso modo di Catania, Riposto e Messina), fu quello di poter commerciare i prodotti dei suoi possedimenti terrieri per mare, con Malta, Spagna ed altri, senza dover tributare dazio a qualsivoglia dogana, potendo beneficiare di un porto proprio.

In basso a sinistra ruderi di Palazzo del Principe Riggio Il molo di Trezza, a partire dal XVIII sec., venne utilizzato per commerciare in canapa e lino, poi, nel XIX sec., con il declino del vecchio sistema economico e produttivo, con l’unione dei Comuni di Castello e Trezza, e l’Unità d’Italia in olive, agrumi e lupini, e solo nel XX sec., contestualmente alla scomparsa dal Palazzo dei Riggio ad Aci Trezza, ed il radicamento di una tradizione peschereccia, ereditato interamente dai pescatori della località.

3. IL DECLINO DEI MACERATOI E LO SVILUPPO DEGLI AGRUMETI

Acitrezza è largamente attraversata da torrenti e corsi d’acqua, e come si sa dove c’è acqua corrente, c’è maggior facilità a costituire una attività lavorativa, una urbanizzazione, un lavoro che fa uso fluviale. Sul finire dell’800 la gestione delle acque nelle Terre di Aci si trovava nelle mani di Domenico Bonaccorsi Marchese di Casalotto, il quale ne aveva venduto grossa parte a Catania, lasciando letteralmente i possidenti e gli agricoltori locali a bocca asciutta, venendo meno in verità ad un accordo che gliene riconosceva una parte almeno sufficiente. E tanto quelle acque residue che giungevano a Capomulini, quanto quelle che giungevano ad Aci Trezza, giovavano per l’irrigazione dei campi coltivati dai contadini locali, quando non arrivavano ai maceratoi.

Vigneto ad Acitrezza - Anni '40 Lo descrive così Saro Bella: “Infatti, se da una parte con l’accordo i possidenti erano riusciti ad ottenere un incremento dei tempi nei quali utilizzare l’acqua a svantaggio delle quote comunali, dall’altra ambedue i contendenti erano stati danneggiati dalle appropriazioni perpetrate dal Casalotto che avevano pesante-mente diminuito la quantità d’acqua globale a loro disposizione. […] Le lamentele dei comuni vicini, in particolar modo nei comuni di Aci Castello nel quale era confluita la borgata di Trezza, riprendevano ciclicamente in diretta rispondenza con la quantità di acque che affluiva nei maceratori. […] Le quantità d’acqua […] venivano ulteriormente e costantemente ridotte dall’indebita appropriazione che, lungo tutto il percorso, particolarmente nelle ore notturne, ne facevano i contadini, per irrigare i preziosi agrumeti.”[2]

Nel 1901 vennero chiusi autoritativamente i maceratori presenti sul territorio, e il Bella così continua nella sua trattazione “deviata l’acqua, per la zona, le sue sorgenti, le saie, i canali fu la fine. Perse rapidamente importanza divenendo presto una periferia agricola dove incontrastati imperavano gli agrumi. Furono proprio gli agrumi ed i loro redditi che la mantennero intatta sino agli anni cinquanta del nostro secolo, …”[3] riferendosi alla zona.

Aci Trezza, con la sua presenza contadina, beneficiò dell’afflusso d’acqua, ne fece tesoro con la coltivazione del terreno di un Feudo posto proprio sulle pendici della collina che sormonta il centro, nonché alimentare più d’una pubblica fontana.

4. IL FEUDO DI ACI TREZZA

Posto in Via Dietro Chiesa ad Aci Trezza, sulla parte sommitale della scalinata denominata “Via Feudo” si trova l’ultima traccia del passato agricolo della località in questione.

Vista aerea della fattoria del Feudo, sopra la Via Livorno, sotto la Via Feudo, attraversata dalla Via Dietro Chiesa. E posto lì non a caso: costeggiato a sud-ovest da un torrente, detto di “Santa Lucia” o “Feudo” (lo stesso che ancora oggi scorre sotto Via Feudo, e che rende verde il prato in riva al mare presso i Basalti Colonnari, e che fino al 1976 alimentava i Lavatoi pubblici posti sull’attuale piazza dei lavatoi, accanto Via Fontana Vecchia) a monte di quel corso d’acqua trezzoto che irrorava i campi del Feudo.

Quello che oggi è un edifico rurale posto nel centro storico, già duecento (o anche più) anni fa doveva essere la porta del paese verso il mondo contadino, collocato al limite Ovest del centro urbano e ad incominciamento dei terreni coltivati ad agrumi, ulivi, viti, ma non solo: il Feudo di Aci Trezza si connotava così come la tipica fattoria del luogo, caratterizzata dalla presenza di animali da allevamento, da soma, pollame, e così via. Ci è data prova pure della presenza di un frantoio, a conferma della specializzazione del lavoro che vi veniva svolto, radicato nei decenni (e nei secoli) e giunto sino a noi (direttamente dalla dominazione spagnola e feudale del territorio).

Discesa carrabile di Via Feudo - anno 1950 Vista da Via Dietro Chiesa Una notevole ed importantissima nonché rappresentativa testimonianza dell’attività contadina nel Feudo ci è data da Mons. Alfio Coco da Ficarazzi[4], nel suo libro dedicato alla sua attività pastorale nella Parrocchia di San Giovanni Battista ad Acitrezza nello scorso secolo. Innanzitutto ci dice che la Via Feudo (in passato una salita carrabile, oggi una scalinata), era l’accesso alla fattoria del Feudo, che univa così il paese alla campagna limitrofa.

Egli, con non poca nostalgia ed affetto, ricorda così la famiglia che vi lavorava ed il lavoro condotto: “Giuseppe Torrisi (o il fattore del Feudo). Lo penso in quella casa di Via Dietro Chiesa, di fronte alla Via Feudo, costeggiata dal torrente, affacciato insieme alla moglie, Maria Basile, da quel terrazzo rialzato su cui si stendeva un bel pergolato e sul davanti tanti vasi di fiori e di basilico. Questa casa una volta era l’antica fattoria del feudo dal quale rimase tagliata, in seguito all’apertura di Via Nazionale, oggi Via Livorno. Una bella casa formata dal terrazzo di accesso, da due ampie stanze, con a fianco il cortile con il cancello d’ingresso e sul retro l’antico frantoio, la stalla, il pollaio, e il giardinetto di limoni. Il proprietario, padre di numerosa famiglia, era conosciuto col nome di “don Peppino du feu” cioè il signor Giuseppe Torrisi del Feudo. Era originario di Aci Sant’Antonio, uomo buono ma rigido e dall’aspetto severo. In quella casa si respirava l’aria dell’antica fattoria, la poesia della campagna. Entrando si vedevano le mucche, il vitellino, i cavalli, i polli. La gente andava là sicura di essere ben servita e si forniva di latte, uova, polli.”[5]

5. LA TRADIZIONE CONTADINA AD ACITREZZA

Ad Aci Trezza il Feudo è il segnale di una realtà più ampia e diffusa, oggi annebbiata: quella di una cultura agricola nel cuore del paese della pesca nella Riviera dei Ciclopi. Le due culture, orbene, quella marittima e quella agricola, hanno convissuto per lungo tempo, fin dalle origini della Trezza (fissate da Enrico Blanco nel suo scritto “Trizza le Origini” nel XVII Sec. col Principe Riggio).

Un capolavoro del verismo italiano, venuto fuori dalla penna di quel Giovanni Verga che soggiornò ad Aci Trezza per il suo romanzo dei vinti, testimonia la presenza di una cultura contadina proprio fra quelle pagine in cui parla delle disavventure della famiglia Toscano, del mare e della pesca: si tratta di un riferimento al “ripiego” lavorativo dei Malavoglia, a fronte dello scarso rendimento della pesca. Così il Verga scrive: “Andava a finire che Piedipapera stavolta voleva essere pagato, santo diavolone! San Giovanni era arrivato, e i Malavoglia tornavano a parlare di dare degli acconti, perché non avevano tutti i denari, e speravano di raggranellare la somma alla raccolta delle ulive. Lui se l’era levati di bocca quei soldi, e non aveva pane da mangiare, com’è vero Dio! non poteva campare di vento sino alla raccolta delle ulive”[6]. E l’agricoltura non era solo attività commerciale, ma anche bene di proprietà, patrimonio e ricchezza, inteso come fondo, come Feudo: “Quello della pancia grossa era Brasi, il figlio di padron Cipolla, il quale era il cucco delle mamme e delle ragazze, perché possedeva vigne ed oliveti.”[7]

E vigne ed oliveti sono stati ben presenti (e tutt’ora lo sono) ad Aci Trezza: dalla “Vigna Abate” all’ingresso Sud del paese (eliminata negli anni ’40 per far posto all’Edificio delle Scuole Elementari), ai numerosissimi ulivi della collina trezzota (ancora oggi presenti tra Via Manzella, Via Litteri e Via Vampolieri).

La fattoria del Feudo - Vista da Via Nazionale (Livorno) Non solo Verga ci parla di una presenza contadina duecento anni fa ad Aci Trezza, ma anche e soprattutto – in forma sicuramente più prosaica – Don Salvatore Coco di Ficarazzi[8] (nipote dell’Arciprete già citato), che nel suo libro “Ultimo banchetto a Trezza” offre un mirabile spaccato di vita della comunità religiosa trezzota attorno alle due devozioni mariane ivi da sempre presenti. Così il sacerdote scrive: “Un’ altra edicola della Madonna, quasi nascosta, si trova in Via Dietro Chiesa. E’ dedicata a S. Maria della Provvidenza, per il passato che era detta dei Tropea o Tropeati. L’Arciprete De Maria[9] in uno dei tanti suoi foglietti pervenuteci si chiede quale devozione mariana sia la più antica a Trezza. Egli non riesce a dare una vera e propria risposta, ma fa capire che sicuramente le due devozioni più antiche risultano certamente quella di S. Maria La Nova e di Santa Maria della Provvidenza.Intorno al 1760 due fratelli Lorenzo ed Antonio Tropea, eremiti appartenenti all’Eremo di Sant’Anna, fabbricarono questa cappella con altare accanto all’abitazione di Michele Pellegrino a ridosso della stalla. L’immagine della Madonna della Provvidenza, con un cero sempre acceso, era il segno dell’attenzione che rivolgevano i fedeli e quelli della famiglia Pellegrino che avevano l’opportunità di accedere direttamente dalla loro abitazione. Cappella di S. Maria della Provvidenza - Vista da Via Dietro ChiesaLo spazio della cappella era necessariamente limitato perché da un lato si trovava il muro della stalla e dall’altro passava la via pubblica. […] La venerazione a S. Maria della Provvidenza richiama un culto prevalentemente agricolo, in parallelo a quello marinaro. Questa cappella è dunque la testimonianza della presenza di due anime a trezza: S. Maria la Nova, la devozione legata alla vita di mare e alle attività commerciali che si svolgevano per via terra, e S. Maria della Provvidenza invece legata alla vita agricola. Non era un caso che la cappella era stata eretta accanto ad una stalla e in prossimità dei campi coltivati e dei terreni del Feudo. […] C’è da ricordare che lì vicino vi era il trappeto degli ulivi del Feudo e lì accanto dei terreni idonei per la semina dei cereali e d altri prodotti agricoli”[10]. Da notare è l’anno di collocazione della prima pietra della Cappella accanto ai campi coltivati del Feudo: anno 1760.

Ciò ancora a testimonianza della risalenza della cultura e della tradizione agricola, della presenza di agricoltori e coltivatori nella collina, dai terreni soffici e fertili, della Trezza.

Sempre Salvatore Coco ci dice che la Cappella della Provvidenza è dotata da una campana sulla sua sommità, volta chiaramente al richiamo di fedeli e di lavoratori dai campi del contiguo Feudo, per la preghiera e per scandire i momenti del giorno e del lavoro. Si ricordi che la Cappella di S. Maria La Nova invece non è dotata di campana (posto - per ipotesi - che si volesse richiamare con essa dal mare – con notevole sforzo – i pescatori).

Per tornare al Verga, lo scrittore siciliano indica la Cappella di Via Dietro Chiesa come quella posta all’ingresso del paese provenendo da Aci Castello: un chiaro segnale del “confine urbano” della Trezza; poi chiama la barca dei Malavoglia “La Provvidenza” richiamando così il culto agricolo mariano presente nella località; ed, infine, riempie “La Provvidenza” non già di prodotti del mare, nella nota vicenda della tempesta, ma di lupini, quel prezioso legume che cresce nei campi delle terre di Aci.

E’ da ritenere pertanto che la fattoria dell’antico Feudo coronasse – in una cornice alternativa rispetto a quella peschereccia -, con le sue viti, i suoi ulivi, i suoi limoni, con gli ortaggi e le verdure, le zappe, l’aratro e le saie, con i buoi ed i vitelli, i cavalli e gli asini, con i conigli ed il pollame, con in latte appena munto e le uova sottratte alla cova,questo giardino in luogo di viva espressione della cultura e della tradizione agricola di questo luogo.

6. CONCLUSIONE

Se la tradizione barcaiola e marinara di Aci Trezza, con il culto a S. Maria La Nova è rappresentato dalla marineria trezzota con le sue barche in legno (che il 22 Maggio 2014 è entrata nel Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana), allora la tradizione campagnola ed agricola di Aci Trezza, con il culto a S. Maria della Provvidenza è rappresentato dall’antico Feudo di Via Dietro Chiesa.

La fattoria dell'antico Feudo nel Marzo 2015 Oggi la fattoria di Acitrezza soffre i gravami del tempo, delle intemperie e dell’incuria: il simbolo della cultura contadina nella località rischia il decadimento e la rovina. La testimonianza della tradizione agricola nella Trezza esiste e resiste – purtroppo malamente - nel Feudo: è auspicabile un progetto di ripristino e valorizzazione che faccia adesso giustizia per l’importanza storica della costruzione, e che sensibilizzi chi di competenza all’educazione culturale dei nostri luoghi e del nostro passato. L’impegno delle istituzioni deve essere orientato sulla cura, la restaurazione e la manutenzione della fattoria dell’antico Feudo di Aci Trezza in quanto è testimonianza concreta e tangibile di una ben definita epoca (quella a cavallo tra il XIX ed il XX secolo) produttiva, e di una importante pagina di storia dello sviluppo e della cultura della località.

Aci Trezza,

Sabato 14 marzo 2015

Socio Ricercatore dell’Associazione Culturale “Centro Studi Acitrezza”

Sig. Graziano D’Urso

____________________________________________

[1] ACQUE, RUOTE E MULINI NELLA TERRA DI ACI, Saro Bella, Comune di Aci Catena – Aci Catena (CT), 1999

[2] Op. cit. Parte Prima, Il controllo delle acque: la storia – Cap.1.13, Il declino: agrumi e nuove fonti di energia, Pag. 153

[3] Op. cit. Parte Prima, Il controllo delle acque: la storia – Cap.1.13, Il declino: agrumi e nuove fonti di energia, Pag. 160

[4] Arciprete Parroco della Parrocchia San Giovanni Battista di Acitrezza dal 1 Dicembre 1941 al 18 Luglio 1992.

[5] CINQUANT’ANNI AD ACITREZZA, Alfio Coco, A&B Editrice – Acireale, 1998, pag.132 e ss.

[6] I MALAVOGLIA, Giovanni Verga, Letteratura Italiana Einaudi – Milano, 1985, Pag. 125

[7] I MALAVOGLIA, Giovanni Verga, Letteratura Italiana Einaudi – Milano, 1985, Pag. 33

[8] Arciprete Parroco della Parrocchia San Giovanni Battista di Acitrezza dal 19 Luglio 1992 al 12 Ottobre 2001.

[9] Cappellano della Parrocchia San Giovanni Battista di Acitrezza dal 15 Maggio 1884 al 19 Luglio 1903 e Arciprete Parroco dal 19 Luglio 1903 al 15 Marzo 1928.

[10] ULTIMO BANCHETTO A TREZZA, Salvatore Coco, A&B Editrice – Acireale, 2009, Pag. 94 e ss.