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Centinaia di lettere ci consentono di scoprire un aspetto poco noto e molto intimo del maestro del verismo italiano, il sentimento amoroso che Giovanni Verga provò nei confronti di due nobildonne: Paolina Greppi Lester e Dina Castellazzi di Sordevolo.
Paolina Greppi Lester
Con molta probabilità nel 1878 a Mendrisio (Svizzera) nella villa di Loverciano Giovanni Verga incontrò per la prima volta la contessa Paolina Greppi vedova Lester, nipote del suo amico conte Alessandro Greppi. Paolina era nata a Milano il 6 ottobre 1836. A Trieste, nel 1856, ventenne, sposò K. Bingley Garlam Lester che, nel 1863, a Firenze, la lasciò vedova, a soli ventisette anni, e con un figlio, Augusto, di appena sei.
La relazione tra Verga e Paolina, con molta probabilità, era già iniziata nel 1879 quando il 24 agosto dello stesso anno fu pubblicata nel Fanfulla della domenica la novella Fantasticheria, la cui protagonista femminile altri non è se non la contessa Greppi. Ben 208 lettere inviate da Verga a Paolina tra il 1880 e il 1905 ci consentono di ricostruire il loro rapporto di amicizia e di amore.
Egli si esprimeva nei confronti di Paolina in questi termini: “Grazie, e proprio dal cuore. Non potete immaginare quanto piacere mi abbia fatto il vedere che avete pensato a me; non mi sento affatto bene, e sono di un umoraccio nero. Il vostro biglietto mi ha fatto l’effetto che mi fa il vostro bel sorriso, vi rammentate che ve l’ho detto? Di un raggio di sole.[…]”. (lettera del 20 luglio 1880). (1)
“[…]Voglio mandarvi un saluto proprio dal cuore, col vostro ritratto davanti agli occhi, e dopo aver riletta la vostra lettera di ieri, quella lettera di cui avevo tanto bisogno, e che risponde esattamente allo stato del mio cuore.[…]Ieri sera dall’impazienza con cui affrettavo col desiderio il momento d’arrivare e di rivedervi, ho misurato qual posto vi abbiate preso nella mia vita e come vi voglia bene. Voi datemene uno eguale, e pensate a me.[…]”. (lettera del 22 luglio 1880). “[…]Ho proprio bisogno di una vostra lettera, lunga lunga, che mi parli e mi parli di voi, di quel che fate, e di quel che pensate. Se sapeste quante cose penso io[…]come penso a voi con piacere, tanto vedete, che l’unico piacere della giornata è questo di scrivervi, e di starmene con voi in ispirito.[…]Mi sembra di volervi bene cento volte dappiù dacchè sono lontano[…].Addio, amica mia, cara Paolina, è questa credo la prima volta che scrivo il vostro nome; ma l’ho tanto ripetuto fra me e me in questi due giorni. Io vi voglio molto bene, e son felice di pensare a voi. Addio, datemi le vostre manine. Addio, scrivetemi. Vostro sempre Verga.”. (lettera del 29 luglio 1880).
“Vi scrivo dal battello, pochi momenti dopo avervi lasciata e accompagnata cogli occhi fin che potevo, col cuore e col pensiero tutto a voi, che mai come adesso ho sentito il bene che vi voglio e il dolore di staccarmi da voi. Penso che questa lettera vi giungerà domani, al vostro svegliarvi, e vi farà piacere il vedere che ho pensato a voi, come spero avrete pensato a me. Non vedo l’ora di partire per la Sicilia, per finirla con questa gita, e non pensare più che al giorno in cui vi scriverò che sarò a Milano. Nel momento in cui vi scrivo guardo le colline dietro le quali siete, il cielo che vedete anche voi, e mi sento vinto da una gran malinconia, da una tristezza che m’invade tutto e mi rende uggiosa ogni cosa. Penso alle parole che mi avete detto, al viaggio allegro che ho fatto per venirvi a trovare, ai luoghi e alle ore in cui vi vedevo, e mi sento stringere il cuore d’amarezza. Che differenza dalla stessa ora di ieri, quand’ero con voi, e sapevo di dover passare la sera in vostra compagnia, come ogni cosa insignificante prende rilievo e vita, il posto in cui vi incontrai, la veste che avevate, quella stupida partita alle carte che sospiro adesso! Rammentatevi sempre le ultime parole che vi ho detto; che vi ho detto proprio come venivano dall’anima. Pensate che vi lascio il cuore, tutto quel di meglio che ci è in me, che son tutto vostro, felice di volervi bene così, felice di esser voluto bene, e che lasciandovi mi è sembrato che qualche cosa di vivo e di intimo assai, si staccasse da me.[…]”. (lettera del 9 settembre 1880).
“[…]Voi mi mancate assai, di tutto il bene che vi voglio, e penso diggià al ritorno in Italia come a una festa. Vi ho sempre presente dinanzi agli occhi e nel cuore, e vorrei avervi, qui con me.[…]Per la mia amica civettuola vorrei aver i milioni di Montecristo. Ma no, vorrei avervi qui piuttosto, e girare braccio sotto braccio.[…]Avrei voluto mettervi dentro un bacio per la vostra testolina, e col desiderio c’è.[…]Scrivetemi, scrivetemi, e vogliatemi sempre bene così. Quando ci rivedremo sarà una bella giornata. Nel leggere che siete malinconica, e le tristi ore che passate in quel salottino, avrei voluto stringervi fra le braccia, povera e cara amica mia.[…]Pensate che vi voglio tutto il mio bene, e che mi sento sempre più vostro, vicino o lontano.[…]”. (lettera del 15 maggio 1882).
“[…]Avete trovato il nido? Avete pensato a me? Voi mi tenete buona compagnia, ve l’assicuro, e se poteste guardare da uno spiraglio nel cuore del vostro amico sareste contenta, vi assicuro.[…]Se sapeste quante cose mi passano qui per il capo! Ve le dirò tutte all’orecchio, in quelle ore deliziose che torneremo a passare insieme. Sempre, sempre così![…]Io mi sento felice di sapermi tali radici nella vita.[…]Quanti bei discorsi faremo insieme, e che ore deliziose passeremo![…]”. (lettera del 18 maggio 1882).
“[…]Amica mia, come mi sento felice di volervi bene così, e di sapere che me ne volete allo stesso modo![…]Bacio le vostre manine un po’ con il polso, e nelle palme, e vi voglio un gran bene.[…]”. (lettera del 20 maggio 1882).
“Voi siete la più buona e adorabile donnina malgrado le vostre lune[…]. Pensate a me che vi voglio bene davvero.[…]Bacio quelle care manine, cui voglio tutto il mio bene.[…]”. (lettera del 10 ottobre 1882).
“Vi vedo allegra e bella come questa giornata di sole, tutto al contrario dell’umoraccio nero che avevate ieri l’altro sera, almeno in principio, e che abbiate pensato a me come io ho pensato a voi, ieri, ieri sera e vi ho pensato oggi svegliandomi. Mi assalgono mille tentazioni, mille nostalgie di escire a godermi questa splendida primavera, di venire a trovarvi, di correre i campi con voi[…]. Penso a voi, e con un gran bene.[…]”. (lettera del 28 febbraio 1883).
“Vi ringrazio della vostra cara letterina, che mi ha fatto bene nella grande uggia di questi giorni. Ho avuto due notti di febbre e altri guai oltre all’occhio gonfio come un diavolo. E figuratevi poi l’umore. Vorrei che il bene che vi voglio vi confortasse nei nostri momenti neri, come le vostre parole rischiarano il mio cattivo umore. Tutto vostro sempre[…]”. (lettera del 5 maggio 1883).
“La vostra cara letterina di venerdì ci voleva proprio. Siete proprio voi che mi parlate, e sento di essere nell’anima vostra come voglio esservi, e di volervi bene molto, ma molto. Comincio dal pigliare le vostre care manine e tenermele sulla bocca. Che piacere quando ci rivedremo![…]Se sapeste quante volte e come penso a voi!”. (lettera del 4 luglio 1883).
“Ebbi la vostra cara del 6 ieri sera a tavola, la indovinai e la lessi sola fra le altre, e quel profumo che è il vostro mi parlava di voi, e mi faceva quasi vedervi con quel visetto che amo tanto, e quel sorriso che mi fa il sole dentro.[..]E penso a voi, cara amica mia, e vi assicuro che vorrei avervi qui con me voi pure, o esservi vicino. Scrivetemi spesso almeno, e non mi punite, sebbene lo meriti, col vostro silenzio. Ditemi tutto quello che fate, e pensate anche un po’ a me in tutto quello che fate. Sapete che son circa due settimane che non ci vediamo! Quanto desidero una di quelle belle serate che passavo nel vostro salottino, seduto ai vostri piedi su quello sgabelletto, e colle mani nelle vostre![…]”. (lettera del 9 dicembre 1883).
“[…]Tutta la brillanteria di qui non vale agli occhi miei una serata passata vicino a voi, e che non ho altro in testa né in cuore, mi capisce, signora mia?[…]”. (lettera del 24 novembre 1884).
“Penso a voi oggi, e mi ricordo dello stesso giorno che vi ero vicino l’anno scorso, e vi mando il saluto migliore del mio cuore.[…]Vi ringrazio di quello che mi date. Vi ringrazio assai più di quello che pensate e sentite, e che risponde intimamente a quello che penso e sento per voi cara Paolina. Come vorrei esservi vicino, a tormentarvi magari, e litigare con voi! Scrivetemi, e vogliatemi sempre bene così, che io ve ne voglio quanto ce n’entra in questo sacco frusto. Datemi qui le vostre manine, e il vostro sorriso che mi piace tanto. Buon Natale, cara Paolina, e che siate felice[…]”. (lettera del 25 dicembre 1885).
“[…]Vi bacio le mani e ve le stringo ben forte, e vi voglio tutto il mio bene.[…]”. (lettera del 5 gennaio 1886).
“[…]Se a Milano c’è la nebbia, qui il sole non mi mette grande allegria, lontano da voi e dalle mie occupazioni più gradite. E so per esperienza che il sole più gaio, e il tempo più bello è quello che portiamo noi stessi dentro di noi. E vi assicuro che rimpiango la neve e i giorni foschi di Milano in cui venivo a cercare rifugio davanti alla fiamma del vostro caminetto.[…]Datemi le vostre mani fra le mie perché vi dica che vi voglio un gran bene, e mi mancate assai, e vi mando tanti saluti affettuosi, quante cose vorrei dire al vostro orecchio.[…]”. (lettera dell’11 gennaio 1886).
“[…]Io vi voglio tutto tutto il mio bene, voi siete la sola persona di cui il pensiero mi segue dovunque, e tutto quello che mi viene da voi è la sola cosa che mi faccia piacere più di ogni altra. Ve l’ho detto diggià, ma torno a dirvelo perché mi fa piacere il ripetervelo, e mi pare che sia lì, dinanzi a voi, colle vostre care manine fra le mie. Voi siete sempre un po’ scettica, ma vi giuro che ancora, così lontano, e dopo tanto tempo che non vi vedo, sento di volervi bene quasi più di prima, e sospiro il momento di potervi dire tutto ciò a viva voce fosse anche per qualche giorno[…].Vi mando un bacio proprio dal cuore. Vostro sempre[…]”. (lettera del 29 aprile 1886).
“[…]Andrà come andrà; ma ho la coscienza di aver fatto quel che dovevo e come dovevo.[…]”. (lettera del 30 novembre 1886).
“[…]Lascerò Roma senza poter venire a salutarvi prima di tornare in Sicilia. Lo desidererei ancora, come lo desideravo quando ve ne scrissi. Però non sono padrone di me, né del mio tempo, e se m’illusi non volli illudervi. Questo vi prego di crederlo.[…]”. (lettera del 15 maggio 1887).
“[…]Vado a cacciarmi laggiù, e rintanarmi come un orso per buttar giù sulle carte del Mastro don Gesualdo tutta la nausea che mi sento nel cuore.[…]”. (lettera del 24 giugno 1887).
“[…]Voi mi volete bene davvero, e come ve ne voglio io, e credetemi questo mi raddoppia il piacere del ritorno a Milano, e la felicità di sapere che la persona che vi ho cara sopra ogni altra mi serba in cuore il miglior posticino.[…]Io mi sento intimamente e durabilmente legato a voi, e benedico il momento in cui vi ho conosciuta, e mi avete fatto felice dandomi un posto nelle vostre affezioni. Vorrei avervi qui[…]per baciare le vostre mani, e per dimostrarvi il bene che vi voglio.[…]Vi acchiudo un fiorellino colto da me lassù in terrazza, l’ho baciato pensando che toccherà le vostre mani.[…]”. (lettera del 23 ottobre 1889).
“[…]Debbo confessarvelo, non abbia molta fede nelle donne scrittrici, o meglio nel loro valore artistico[…]. Non si dovrebbe imparare a far dei libri come s’impara a far la calza, e fra un romanzo sbagliato e un paio di calze, preferisco le calze. […]Coi mezzi romanzi, coi tentativi ben riesciti, coi componimenti delle signore e dei giovanotti siamo arrivati a fare una letteratura da asilo infantile che ci umilia e fa danno all’arte.[…]”. (lettera del 21 febbraio 1890).
“[…]Di me non so altro cosa dirvi. Ho vuotato il mio sacco, e vi prego, quando il cuore vi dice, di vuotare il vostro, e di scrivermi una bella letterona, un po’ meno maussade dell’ultima vostra del 14.[…]”. (lettera del 28 giugno 1890).
“[…]Ormai da gran tempo veggo con dolore che più che altro io vi son causa di pene e di dispiaceri.[…]Ma vi confesso che non mi sento più la forza né il coraggio di continuare una vita così penosa per entrambi. Credevo che tutto fosse finito, e invece dalla vostra lettera del 9 veggo che continuate a tormentarvi e a tormentarmi senza una ragione al mondo.[…]Credete o non credete che vi sono molto, saldamente, e sinceramente affezionato? Perché amareggiare sempre il bene che vi voglio e farcene un tormento? Mi siete cara e vi ho in cuore[…]ma amo pure la mia libertà, la mia indipendenza assoluta, e la mia dignità. Per l’amor di Dio non cambiate tutto questo in catena che diverrebbe odiosa ad entrambi. Vogliatemi bene come ve ne voglio, e siate sicura che ve ne voglio e ve ne ho voluto sempre moltissimo, anche nei momenti di maggiore amarezza.[…]”. (lettera del 20 ottobre 1893).
“[…]E spero di trovarvi bella e fresca come una rosa, come si diceva allora che sognavate sempre dei bebè. Vi rammentate. Quanto al mio ritorno a Milano non posso dirvene nulla se prima non mi sarò un po’ rimpannucciato a denari.[…]”. (lettera dell’8 dicembre 1895).
“[…]Perché mi dite che vi scrivo come se la mia lettera dovesse esser letta da altri che voi? Io vi scrivo quel che penso, e che vi ho detto sempre. Poiché la vita non ce la possiamo far sempre e in tutto al modo che si vorrebbe noi, la filosofia, come voi dite, ha questo di buono, che aiuta ad attutirne gli urti e le contrarietà.[…]”. (lettera del 13 maggio 1896).
“[…]Io vorrei che vi piacesse un giorno questa mia Duchessa, e vorrei parlarvene, in quelle buone chiacchierate che ricordo sempre.[…]”. (lettera del 24 settembre 1896).
“[…]La vita bisogna pigliarla come viene, colle sue necessità, ed anche colle contrarietà che ci apporta, e adattarsi è un gran bene.[…]”. (lettera del 15 novembre 1896).
“[…]Che volete, amica mia. Gli anni nostri migliori son passati[…]certo la vita è fatta così[…]”. (lettera del 10 gennaio 1897).
“[…]Vi mando qui il pochissimo di cui posso disporre, le cinquanta lire che sapete, ma sono assai assai mortificato, e addolorato, credetemi di non potere far di più pei gran carichi che ho sulle spalle. Ah, cara amica mia, che triste cosa la vita! Come mi stringe il cuore sapervi così seccata![…]”. (lettera dell’8 novembre 1904).
“Carissima Amica mia, le vostre ultime mi rattristano tanto più, che io pure, Amica mia, attraverso un bruttissimo periodo, e comprendo e immagino quel che deve essere per voi.[…]”. (lettera dell’11 maggio 1905).
Verga venuto a conoscenza della morte della sua amata, avvenuta a Pisa il 9 dicembre 1906 all’età di settant’anni, grazie ad un telegramma inviatogli da Augusto Lester, figlio di Paolina, così rispose: “Inaspettatamente colpito doloroso annunzio abbracciovi tutti nell’ora tristissima piangendo con voi cara amica perduta.”.(2)
Dina Castellazzi contessa di Sordevolo
Giovanni Verga conobbe Francesca Giovanna Annunziata Castellazzi Brucco contessa di Sordevolo nel 1881 a Roma, presso l’hotel Milan di piazza Montecitorio. Era nata a Torino il 25 marzo 1860; da Annunziata deriva il diminutivo Dina con cui si faceva chiamare. Sposò, giovanissima, il conte Alessandro Brucco di Sordevolo che, nel 1893, la lasciò vedova a soli trentatrè anni.
Dina era non solo una donna affascinante ma anche molto colta, suonava il pianoforte, scriveva, traduceva in italiano opere francesi, dipingeva, quindi per Giovanni Verga non fu difficile innamorarsene. Il loro fu un rapporto molto complesso, fatto di amicizia, amore, confidenza, stima, collaborazione, incontri furtivi, separazioni, avvicinamenti, aiuti economici.
Un rapporto che, comunque, tra alti e bassi, durò tutta la vita. Tutto ciò viene confermato da un ampio epistolario, ben 703 lettere inviate dal Verga a Dina tra il 1896 e il 1921, in cui scopriamo un nuovo Verga: sentimentale e passionale.
Egli si esprimeva nei confronti di Dina in questi termini: “Tante, tante cose ti vorrei dire, che mi si affollano alla mente e mi si gonfiano in cuore -e che diventano fredde e sciocche nella carta. Questo solo ti dico, che ti ho ancora e sempre dinanzi agli occhi, e ti accompagno in ogni ora della tua giornata, e sento che mi manca la più cara e la miglior parte di me stesso. Come hai fatto a prendermi così? Quel viaggio che ho rifatto da solo, dopo averlo fatto insieme a te è stato una gran tristezza; ogni luogo, ogni pietra che abbiamo visto insieme mi ritorna dinanzi, e mi lega. Le parole, gli atti, il tono della voce. Le parole che non dicesti e quelle che non osai dirti. L’ombra che ti fuggiva nella fronte e gli occhi che guardavano lontano. Ancora non mi dà pace di aver perduto questi giorni che avrei potuto passare ancora insieme a te, o vicino a te.[…]Beata te che sei così giudiziosa ed equilibrata![…]”. (lettera del 29 agosto 1900). (3)
“[…]Io bacio quelle due piccole mani uniche al mondo sulle quali vorrei dire tante cose.[…]”. (lettera del 15 settembre 1900).
“[…]Che festa quando ti rivedrò e che strazio dopo! Come ti amo, e come tu vivi dentro di me e mi fai gioire e penare! Quante cose vorrei dirti! Quanto bene ti voglio! Dammi le tue manine, la tua bocca, tutto! Non voglio pensare al poi, sono felice al solo pensiero di rivederti fra due giorni. Ti stringo forte forte fra le braccia che non vorrebbero lasciarti più, e dalle quali bramerei che non vorresti staccarti mai più.[…]”. (lettera del 22 ottobre 1900).
“[…]Mi sembra di sentire ancora le tue parole, e di stringerti fra le mie braccia, come in quell’ultima triste sera che passammo insieme.[…] Cara, cara Dina mia! Quanto ti voglio bene, e come sono lieto di volerti tanto bene, collo struggimento doloroso che mi è caro perché mi viene da te! Ti ho seguito ora per ora col pensiero, in tutto quello che avrai fatto, in quelle stanzette in cui ti ho amata tanto.[…]”. (lettera dell’8 novembre 1900).
“[…]Perdonami, perdonami, Dina mia, e pensa soltanto che ti amo con tutta l’anima. Ti ho sempre dinanzi agli occhi, e nel cuore. Che dolcezza e che struggimento! E che desiderio anche![…]Come mi manchi e come ti desidero! Che piacere mi ha fatto quello che mi scrivi. Che gioia ogni tua lettera! Dammi la tua bocca e la tua anima. Amante mia dolce e cara tanto![…]Ti amo, ti amo tanto tanto Dina cara! mia![…]”. (lettera del 23 novembre 1900).
“[…]Sono tuo, lo sai, e vivo di te, con te, anche da lontano, e anche quando non te lo faccio sapere.[…]Se sapessi il piacere che mi dà ogni tua lettera, come ti sento, quanto mi manchi! Penso che questa lettera ti giungerà la vigilia del Natale, e mi attrista il pensiero di non esserti vicino.[…]Ti bacio sulla bocca, sugli occhi. Ti bacio tutta, e ti do tutta l’anima mia. Buone feste! Sii felice, sii felice quanto te l’auguro io. Verga tuo.”. (lettera del 21 dicembre 1900).
“[…]Sai che t’amo tanto, che son tutto tuo, e che mi sei tanto cara, tanto, cara Dina mia che vorrei coprire di carezze e di baci.[…]”. (lettera del 24 dicembre 1900).
“[…]Ardo dal desiderio di vederti e di stringerti fra le braccia.[…]”. (lettera dell’11 gennaio 1901).
“Ti scrivo dall’albergo dove ti ho conosciuta e ti ho amata tanto. Voglio dire dove ho cominciato ad amarti, poiché sento scrivendoti che ti amo ancora di più, poiché al solo pensiero di rivederti sono tanto contento.[…]”. (lettera del 22 gennaio 1901).
“[…]Mi pare ancora un sogno che io abbia fatto; mi pare di averti ancor lì dinanzi, e sento un gran struggimento, una gran tenerezza, un desiderio grande di vederti ancora.[…]”. (lettera del 4 febbraio 1901).
“Caro amore, dammi qui le mani e la bocca, e lasciati abbracciare.[…]”. (lettera del 4 aprile 1901).
“[…]Dammi tutta te, Dina mia amata.”. (lettera dell’11 aprile 1901).
“[…]Un bacio, e uno sulle manine, e uno fra quelle sopracciglia cattive, e uno in bocca col punto coronato.[…]”. (lettera del 9 maggio 1901).
“[…]Vorrei saperti bene, e contenta, e che ti diverti, anche civettando di qua e di là. Tanto non ti vedo! Ma vorrei pure che mi volessi sempre un po’ del tuo bene.[…]”. (lettera del 20 gennaio 1902).
“Come stai, mia piccola e cara Dinuzza?[…]Dammi la tua bocca. Perché ci siamo lasciati? Perché sciupiamo così questi giorni che rimpiangeremo? Perché non posso averti qui e farti star bene, e condurti come la cosa più cara, come una bimba fra le braccia? E farti godere questi bei luoghi, questi ultimi bei giorni del dolce autunno? Mi manchi tanto tanto tanto, e tanto mi sento legato a te![…]”. (lettera del 14 settembre 1902).
“[…]Ho qui dinanzi la manina nera di bronzo, e gli occhi belli del ritratto che mi guardano. Cara, cara, cara! Ti ringrazio e ti bacio tutta.[…]Sono contento e ti stringo al cuore.[…]”. (lettera del 25 ottobre 1903).
“[…]Addolorata e offesa. Offesa da me che ti amo tanto, e non so amarti come vorresti, come credi che io debba amarti, perché tu creda che ti voglio tutto il mio bene, tutto il bene che posso volere a questo mondo, e che te ne vorrò, sempre checché accada, checché tu voglia, amico, fratello, padre, amante, tuo[…]”. (lettera del 27 dicembre 1903).
“Grazie, grazie, Dina mia! Tu sei la mia gioia, il mio amore e il mio conforto. Sì, ti credo, ho fede piena, incrollabile in te, nell’amante, nella sorella, nell’amico saldo e sicuro -sempre- checché avvenga. Non “Tacermi il bene che mi vuoi” e che è il mio solo bene. Dammi il tuo cuore, sempre, aperto, e leggi nel mio, credi in esso, in qualsiasi evento, malgrado le pene che ti vengono forse dalla mia mente inferma, o dalla vita. Credi che non ne soffra anch’io, quanto te, più di te, e che non ti vorrei compagna della mia solitudine sempre, padrona della mia casa, come lo sei di me? Dinnanzi tutti e malgrado tutto? Malgrado le mie fisime di libertà, e l’antipatia per ogni vincolo che possa sembrar catena o diventarla?[…]Non puoi romperla col mondo, e non lo vorrei -piuttosto sopprimo me e il mio amore.[…]Oh, Dina amata! Dolce cura mia! Il cruccio, se mai, è di non poterti vedere e sapere bene e tranquilla come vorrei. Quando penso alla tua solitudine, la notte, e quando stai poco bene, e ti vedo a stirare colla febbre, o a preparare un po’ di brodo! Tu che sei la parte più cara, e delicata e sensibile di me![…]Resta fra le mie braccia, e allacciami le tue al collo, cuore a cuore, indissolubilmente, meglio e più forte, che con ogni altro vincolo umano ed esteriore.[…]”. (lettera del 2 gennaio 1904).
“Dinuzza mia, non ho più carta, ma ho il cuore pieno di te, e voglio scriverti, comunque sia, pensare a te e parlare con te.[…]”. (lettera del 7 gennaio 1904).
“Ti scrivo per scriverti e starmi con te, ma ho il capo che non si regge e le ossa peste dall’influenza. Però, anche così, come vorrei prendermi “la stretta con passione e rabbia”! Lo vedo infatti che ce l’hai con me, e mi punisci col silenzio. Perché? Dinuzza mia? Scrivimi anche poco, e anche in collera, ma dimmi di te, come stai, e come sto io, nella tua mente e nel tuo cuore.[…]Non mi lasciare tanto tempo sulla corda, e scrivi. Stringimi a te pure con rabbia, che io fo altrettanto, e senza rabbia, ma con gran desiderio.[…]”. (lettera dell’8 febbraio 1904).
“Cara, cara Dinuzza mia! Mi dai la tua bocca, e mi domandi se voglio? Se voglio! E hai addosso la febbre? Ed io? M’hai un po’ scombussolato anche me adesso…E vuoi sapere da me cosa sia?…cos’è il visino filato filato, e le manine trasparenti, che dicono tante cose…Tante cose mi dicono, anche da lontano…Sai che bisogna aver pazienza…Ti rammenti quando facevo il broncio, e tu facevi a non accorgertene. E patatì, e patatà, e oggi non sto bene io, e domani non stai bene tu…Quanti begli oggi e quanti bei domani abbiamo sciupati, cattiva! Ma non mi far la cattiva adesso, veh! Cara, cara, “la notte ch’è un vero supplizio”! Ora ti diverti a farmela passare a me, la notte col supplizio. Perché è vero che dico bisogna aver pazienza, questa quaresima di passione, ma è dura da rosicare.[…]”. (lettera del 18 febbraio 1904).
“Penso a te, ti desidero, vorrei averti vicina, essere con te, non importa dove, Dinuzza cara, ti mando il mio saluto, buona Pasqua.[…]”. (lettera del 1 aprile 1904).
“Ah, Dinuzza amata! Come puoi dire che quelle mie lettere degli ultimi del novembre non erano più così affettuose, quando io cominciavo a riafferrare la speranza di vederti qui? Quando son così contento, e conto i giorni, e mi devo far forza quando ti dico, come allora ti dicevo: “Vai dove vuoi, dalla tua amica, in Riviera, o a Roma, ma scappa da Milano che ti ammazza di questa stagione”. Sai bene invece dove avrei desiderato che tu andassi, per fuggire l’inverno milanese! Lo sai, non è vero? Cara, cara Dinuzza amata! Il solo mio timore è di nuocerti, cercando di giovarti, e che avessimo poi a pagar cara la gioia di vederci e il piacere di averti qui contenta e il meglio possibile; almeno che non abbia a soffrire come di solito l’inverno. - Per questo io vorrei che l’inverno potessi passarcelo tutto qui, dove il clima credo che gioverebbe assai alla tua salute. Tu non hai da pensare che a combinare le cose in modo da non aver noie, ed evitare i pettegolezzi. Ma credo pure che disponendo bene le cose si può arrivare anche a questo. Ad ogni modo ne parleremo di presenza, poiché per fare almeno una scappata di qualche settimana non ci saranno difficoltà, spero. Quando? Quando arriverai, e ti vedrò arrivare alla stazione? Dina, Dina cara! Vedo e sento già i crucci e i rimproveri che mi farai quando mi vedrai alla stazione digne come dicevi, a riceverti col baciamano, e a farti gli onori della città! Dina, Dina caro amore![…]”. (lettera del 9 dicembre 1905).
“Vorrei poterti stringere al cuore, per confortarti almeno, Dinuzza cara, e farti animo, e farci animo, e farti sentire il bene che ti voglio. Cattiva! Che vai almanaccando per tormentarti anche in immaginazione. Non son più quello di prima? Non ti voglio più?[…] Desidero tanto tanto rivederti presto. Ho bisogno di vederti, di esserti vicino, di tirare il fiato, di respirare meglio. Ti abbraccio al cuore con tutto il cuore a te.[…]”. (lettera del 15 marzo 1908).
Dal 1912 al 1918 Dina di Sordevolo si dedicò attivamente alla riduzione cinematografica di gran parte dell’opera narrativa di Giovanni Verga. Lo scrittore le cedette i diritti d’autore e mensilmente le inviava 100 lire. (4) Dina venuta a conoscenza della morte del suo amato, avvenuta il 27 gennaio 1922, grazie ad un telegramma inviatole da Giovannino Verga, nipote dello scrittore: “Partecipando addoloratissimo morte zio avvenuta stamani ore 10,15 a lei, amica devota del caro defunto, Le invio i sensi della mia più cordiale simpatia e amicizia.”(5), rispose con una commovente lettera che è un ulteriore documento del suo profondo amore nei confronti di Verga: “Lo portano via a quest’ora…dalla Sua casa…ed io non sono lì Giovannino…non sono lì accanto a lui! Ma l’anima mia, la parte migliore della mia anima l’accompagna…Quella nessuno la vede, nessuno la sente anche se geme, anche se si spezza! No, non è morto per me! Egli risorge più vivo…più smagliante che mai! Mi inginocchio davanti alla sua salma e mi appare quale lo conobbi trentaquattro anni fa! Tutto mi avvince…come allora…sì ove di mio non rimane più nulla. Fu una stretta di passione, così ardente che ancora ne vibro al solo ricordo! Ah! Giovannino! Che strazio. E non ne muoio…Dimmi che non ha sofferto; Che il suo viso amato conserva l’alea serenità che lo irradiava! Se ti giurassi che non dormii quella notte fatale?…Se ti giurassi che ieri mattina lungo il tragitto da casa mia allo studio io non feci che pregare per Lui, invocando Iddio che gli accordasse una buona morte? Erano le dieci e dieci quando passai davanti la stazione…alle undici sul tavolo di mio fratello io leggevo la terribile notizia! Credi adesso che la mia anima fosse sciolta dalla Sua? No, no, no! Sempre mi sono tenuta vicino a Lui. Sempre malgrado gli anni, il tempo, i guai della vita e della lontananza! E adesso come vivrò? Di che? Del suo ricordo, delle sue parole care? L’avrò più vicino forte. Egli mi assisterà non è vero?…Mi darà la forza di giungere alla fine, nascondendo il mio dolore! Dio gli conceda tutto il bene che si merita. Coraggio! Giovannino, sii forte anche tu. Bacia per me il suo letto, lo scrittoio, tutto ciò che egli faceva. Ah! come la ricordo la sua camera…il suo studio, la sua biblioteca! Che strazio mio Dio! Che strazio! Ti stringo tra le braccia riversando ogni bene su te buono che lo hai assistito sempre…su tua moglie, su le persone che ami! Non mi dimenticare tu che sai quanto l’ho amato, quanto mi amava! Abbi pietà di questo povero essere a cui manca il respiro, la vita! Grazie di esserti ricordato di me. “Distruggi le mie lettere”. Vedi se per caso non avesse risposto all’ultima mia di pochi giorni or sono. Fa che non vada persa. Da lui non ne ricevetti dopo il 24 scorso! Ed ora addio. Piango tutte le mie lagrime. La povera amica tua Dina di Sordevolo. Lungotevere Mellini, 39 (Roma)”. (6) Il 15 settembre 1938 Dina si trasferì presso il pensionato romano delle Figlie di San Camillo dove morì, all’età di ottantacinque anni, il 7 maggio 1945. Di lei non sarebbe rimasta alcuna traccia se non avesse conosciuto nel 1881 a Roma, presso l’hotel Milan di piazza Montecitorio, Giovanni Verga.
Note.
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Giovanni Verga, Lettere a Paolina, a cura di Gino Raya, Roma, Fermenti, 1980. ( Per tutte le lettere citate d’ora innanzi si rimanda a questo volume.).
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Giovanni Verga, Lettere d’amore, a cura di Gino Raya, Roma, Tindalo, 1970. ( Per tutte le lettere citate d’ora innanzi si rimanda a questo volume.).
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Per approfondire la collaborazione cinematografica di Dina Castellazzi contessa di Sordevolo con Giovanni Verga si rimanda al nostro: Verga e il cinema: un connubio amore – odio.
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Giovanni Garra Agosta, La biblioteca di Giovanni Verga, Catania, Edizioni Greco, 1977.
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Leggi anche "Verga e il cinema: un connubio amore – odio" di Davide Guglielmino
L'Assemblea dei Soci ha eletto il nuovo Consiglio direttivo dell'associazione per il triennio 2023-2025.
Antonio Castorina presidente, Giovanni Grasso vicepresidente, Antonella Dettori tesoriera, Francesca Bonaccorso segretaria e Giuseppe La Rosa responsabile organizzativo.
Il 18 marzo 2022 inviavamo una PEC al protocollo generale del Comune Di Aci Castello per chiedere di iniziare l'iter d'inserimento di Aci Trezza nella lista dei Borghi marinari della Regione siciliana.
Il Sindaco ha prontamente dato mandato agli uffici comunali preposti di adempiere tutti gli atti e dopo quasi un anno la proposta è andata a buon fine.
In questi giorni infatti la pagina ufficiale del Reimar ha pubblicato una nota che anticipa l'inserimento di Aci Trezza in questo registro.
Volevamo ringraziare particolarmente l'architetto Antonio Marano, capo area del Comune, che ha seguito tutto l'iter fino alla positiva conclusione.
Noi andiamo avanti sempre con lo stesso obiettivo: la crescita culturale di Aci Trezza!